Visualizzazione post con etichetta cucina regionale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cucina regionale. Mostra tutti i post

mercoledì 27 marzo 2024

Polpetti murati (purpiceddi affucati) per il Club del 27

 


Questo mese il Club del 27 ci porta in Sicilia, con un libro scritto curiosamente in inglese e per un pubblico anglofono, e ricette che portano in tavola la terra natia dell'Autrice, Fabrizia Lanza. 


Ho trovato le ricette abbastanza aderenti alla nostra tradizione, con qualche caveat dovuto al pubblico a cui il libro è rivolto: come non ricordare il favoloso Tiriamo le somme di Alessandra su Carpathia? Cito un solo passaggio, invitandovi a leggere tutto il post: "Il pregio più grande di Marcella (Hazan) era la sua capacità di mediare. Lei sapeva perfettamente dove insistere e dove chiudere un occhio, dove pretendere un ingrediente e dove concedere un surrogato. La sua vita fra  due mondi glielo aveva insegnato, la sua cultura le aveva permesso di comprenderlo, la sua sensibilità di trasmetterlo. Se oggi gli Americani possono apprezzare l'extravergine nella salsa di pomodoro è solo perché prima c'è stata questa salsa- quella in cui tu, da Italiana, vedi il burro- e inorridisci.  Ma io, da Americana, vedo il pomodoro fresco, la lunga cottura, un attrezzo da cucina che non sia il microonde dove scaldare gli instant tomato spaghetti del supermercato. Fu una rivoluzione, credimi, realizzata poco alla volta, un passo alla volta. Ma è per questo che ancora dura.

Quel post ha rivoluzionato il mio modo di guardare ai libri di cucina italiana scritti all'estero e per un pubblico estero, purché abbiano dalla loro il rigore Hazaniano: no ai pressapochismi, insomma, ma sì a quelle scorciatoie o a quegli ingredienti che, se per noi non c'entrano niente, nel contesto del Paese in cui il libro è stato pubblicato hanno un senso, in quanto spingono le persone a mettersi ai fornelli per preparare gustosi cibi autentici, anziché rivolgersi al reparto dei cibi pronti in scatola (ho in mente delle orribili lattine di pasta alla carbonara viste in una foto). 

Ecco quindi che, se al posto dell'uvetta sultanina l'Autrice parla di currants (uvetta di Corinto), evidentemente è l'ingrediente più reperibile dalle sue parti; ecco che, se nella caponata ci sono le uova sode, questo è più un tentativo di renderla un piatto unico, che non quello di snaturare il piatto. Insomma, se tra le ricette dei colleghi del Club troverete qualcosa di non autentico al 100%, fate un passo indietro e pensate al 99% della ricetta, che è perfettamente aderente non solo alla tradizione, ma anche allo spirito della cucina siciliana: quello di usare quanto la terra e il mare hanno da offrire nel migliore dei modi, per tradurre nella cucina lo stile barocco che caratterizza molta della nostra architettura. Personalmente, mentre cucinavo i polpi affogati, mi sono sentita proprio a casa... in Sicilia.


lunedì 19 giugno 2023

Torta salata ai pomodori e pesto

 


E' da aprile dell'anno scorso che dovrei pubblicare questa ricetta, quando per il Club del 27 abbiamo trattato il tema delle torte salate per il picnic di pasquetta. Il motivo della mancata pubblicazione ai tempi è stato che mi era sfuggita la data (la torta salata era stata preparata, fotografata e divorata con mucho gusto); in seguito sono stata affetta da un attacco di pigrizia acuta, poi è passata la stagione dei pomodori, e infine è trascorso più di un anno. Adesso che è tornata la stagione dei pomodori la ripropongo sul blog; agli amici l'ho già fatta e rifatta più di una volta.

Gli amici liguri mi perdoneranno se oso mettere il loro amato pesto in forno: posso provare a rassicurarli dicendo che è protetto dalla ricotta e da un congruo strato di fette di pomodoro, ma so già che i puristi avranno chiuso la pagina del blog prima ancora di arrivare a leggere questa frase; 😅quelli che hanno stretto i denti e perseverato, staranno scuotendo la testa tra sconforto e disapprovazione. Quindi questa ricetta è solo per liguri temerari e per tutto il resto d'Italia (isole comprese) e del mondo. Io posso solo assicurarvi che è buonissima.

Una sola avvertenza: cominciate a preparrte l'impasto mezza giornata prima di fare la torta o, meglio ancora, la sera prima: i tempi di riposo in frigo ci vogliono tutti. In alternativa procuratevi della pasta sfoglia già pronta, ma vi garantisco che non sarà la stessa cosa.


lunedì 6 marzo 2023

Ragù di porcini secchi

 


Ho preparato per la prima volta questo ragù di porcini secchi a fine gennaio, prendendo la ricetta dal libro che avremmo recensito su Starbooks in febbraio, Mezcla di Ixta Belfrage. Sul momento mi ero detta che si trattava di una ricetta interessante, ma dopo averlo assaggiato mi sono scoperta a prepararlo veramente spesso, tanto che a un certo punto mi sono imposta di limitarmi a una sola volta alla settimana. In altre parole, crea dipendenza (ed è un piatto perfetto per i venerdì di Quaresima!).

L'Autrice, di padre Americano trasferitosi in Messico per persecuzioni politiche e madre Brasiliana, ha vissuto per qualche anno anche in Italia, dove si è innamorata della nostra cucina, oltre che delle dolci colline toscane dove ha trascorso alcuni anni della sua infanzia. Per ideare questa ricetta si è ispirata ad altre ricette di quelle parti e in particolare ai cosiddetti sughi finti, quei sughi cioè che si preparano in breve tempo e che racchiudono forti note di sapore, analoghe a quelle dei ragù a lenta cottura.

Le note piccanti in questo ragù sono molto percettibili, ma a mio avviso necessarie; regolate comunque la piccantezza secondo i vostri gusti, magari usando un peperoncino poco piccante come quello di Aleppo, ma non omettetela assolutamente; caso mai equilibratela con altro prezzemolo tritato, che aggiungerete prima di servire. Idem per l'aglio: se non vi piace troppo riducete la quantità a un solo spicchio, ma non toglietelo.

Come accennavo prima, ho preparato questo ragù diverse volte; le prime due ho preparato mezza dose e me la sono scofanata tutta, con qualche senso di colpa; la terza volta ho diviso la dose per 4, in modo da preparare la porzione per una persona sola. A partire dalla quarta volta ho deciso che mezza dose è la quantità perfetta per me. 😇

Un'avvertenza dell'Autrice che faccio anche mia: per questa ricetta è fondamentale avere tutti gli ingredienti già pronti prima di accendere il fuoco, visto che la preparazione è davvero rapidissima. Quando decido di prepararlo per cena, io metto in ammollo i porcini non appena torno a casa dal lavoro, e preparo già la padella versandoci l'olio, il peperoncino, il sale e il prezzemolo tritato: venti minuti prima di cenare accendo il fuoco sotto alla padella e metto su l'acqua per lessare la pasta, quindi trito i porcini, tengo da parte l'acqua di ammollo che serve per il sugo e verso la rimanente nella pentola della pasta per sfruttarne il sapore, e procedo. 

E' una ricetta da porca figura, da tenere presente quando si hanno ospiti improvvisi o semplicemente quando si ha voglia di coccolarsi senza passare le ore in cucina. 

lunedì 30 gennaio 2023

Lasagne al ragù (quasi) bolognese

 


Sì, lo so: se c'è una ricetta che una blogger seria non dovrebbe pubblicare, questa è proprio quella delle lasagne al ragù: in rete ce ne sono centinaia di migliaia, e a meno che non si apporti qualcosa di distintivo - il che, parlando di una ricetta di tradizione, è una contraddizione di termini - tale pubblicazione non ha alcun valore aggiunto, per il grande pubblico. Il valore aggiunto semmai, è per me: questo blog è la mia raccolta personale di ricette, alla quale attingo per replicare i piatti che mi sono piaciuti di più, e tra questi figurano, per l'appunto, le lasagne al ragù.

Già, il ragù. Ne esistono tanti tipi: dal ragù siciliano della mia infanzia, fatto con pezzi di carne che si sfilacciano per la lunga cottura e arricchito con i piselli, al famoso ragù napoletano. Il ragù per eccellenza però, quello a cui si allude in mancanza di ulteriori aggettivi, è quello alla bolognese. Come tutte le ricette di tradizione, non esiste la "vera" ricetta di questo ragù, in quanto le ricette regionali sono nate per sfruttare le risorse che si avevano in casa; il Professor Dario Bressanini, nel suo libro La scienza della carne, ha fatto una piccola ricerca e riportato due o tre ricette diverse di ragù alla bolognese, tratte da grandi classici della cucina come Il talismano della felicità di Ada Boni, proprio per dimostrare questa grande verità, che i crociati della tradizione culinaria dimenticano sovente. Del resto, se volete approfondire la questione della tradizione, potete cominciare da questo magistrale articolo di Alessandra

Il 17 ottobre 1982, l'Accademia Italiana della Cucina ha depositato presso la Camera di Commercio di Bologna una versione ufficiale della ricetta per mettere un punto fermo, eppure sul web - e soprattutto nelle cucine di casa - vi sono tantissime ricette che si scostano da quella, e che francamente io faccio fatica a non considerare altrettanto originali.  

Negli anni ho provato tantissime ricette di ragù alla bolognese, più o meno aderenti alla ricetta tradizionale; quella però che mi è piaciuta di più in assoluto, e che replico sempre volentieri, è stata scritta dal succitato Dario Bressanini, prima nel blog Le Scienze di Repubblica e poi nel suo libro La scienza della carne. Onde evitare gli strali dei puristi lui ha aggiunto un quasi al nome della sua ricetta e io l'ho imitato nella mia, per lo stesso motivo: si sostituisce la pancetta con la salsiccia, ma la differenza più importante sta proprio nel procedimento, in cui ogni passaggio è finalizzato a costruire il sapore. La particolarità di questa ricetta infatti consiste nel fatto che lui usa le sue conoscenze della chimica per favorire la formazione delle molecole di sapore, e il risultato è talmente strepitoso che ho adottato la ricetta in pieno, facendola mia con qualche modesta modifica.

In sostanza, questo post è una scusa per pubblicare la ricetta del ragù di Bressanini, 😅e siccome sarà lungo (come del resto lunga è la preparazione del ragù), meglio rompere gli indugi e scriverla.

lunedì 7 novembre 2022

Polacca Aversana

 


Ho sentito parlare per la prima volta della polacca aversana da un collega napoletano nel febbraio 2020, circa una settimana prima del primo lockdown, ed è da allora che mi riprometto di farla. Si tratta di un dolce tipico della città di Aversa, molto simile al pasticciotto leccese, di cui condivide la farcitura. Quello che cambia è il guscio esterno, uno scrigno di pasta brioche che racchiude il goloso ripieno di crema pasticciera e amarene. 

Tre sono le leggende legate alle origini della ricetta: secondo quella più accreditata, una suora proveniente dalla Polonia e residente nel convento delle Cappuccinelle di Aversa era solita preparare un dolce tipico delle sue parti, il  Drozdzowki (brioche tonde simili ai krapfen, farcite con una crema di formaggio e frutta), e ne diede la ricetta a un pasticciere di Aversa, Nicola Mungiguerra. Questi pensò di rielaborare il dolce adattandolo ai gusti italiani, e diede vita alla torta che ora conosciamo e che nella versione monoporzione è chiamata polacchina. Un'altra leggenda racconta della visita ad Aversa di una regina polacca, che fu ospitata in uno dei conventi della città. Le suore, volendole offrire per colazione un dolce raffinato, elaborarono questa ricetta. Un'ipotesi più recente invece, attribuisce la ricetta a un mercante pugliese trasferitosi ad Aversa agli inizi del XX secolo, che ripropose il pasticciotto leccese sostituendo la pasta frolla con pasta brioche.

Quali che siano le origini della ricetta, mi intrigava l'idea di uno scrigno di pasta brioche farcito con crema pasticciera al limone e amarene sciroppate; ho fatto quindi un giro estensivo in rete per trovarne la ricetta. Fin da subito la ricetta che mi ha convinto di più è stata quella di Pasqualina, ma ho dato un'occhiata anche ad altre e mi sono pure guardata il video di Simone Esposito, per raccogliere più accorgimenti possibile. 

Dico sempre che i dolci non sono il mio forte e infatti l'estetica lascia molto a desiderare; il sapore però era buonissimo, e sono certa che piacerà anche a voi.

lunedì 1 marzo 2021

Taralli napoletani 'nzogna e pepe


Regola n. 1 quando si prepara una ricetta per la prima volta: andare sempre alla fonte. E' una cosa che faccio praticamente sempre, ma talvolta si verificano le eccezioni. 
Come la prima volta che ho fatto i taralli, un paio di settimane fa.

Avevo invitato a casa un'amica con la figlia e la Pulcetta, per tenere una mini lezione di panificazione. Tra le ricette che avevo scelto di far realizzare alle mie allieve c'erano anche loro: i taralli napoletani 'nzogna e pepe. Finora li avevo solo assaggiati, ma un giro in rete mi ha fatto trovare una blogger che aveva riproposto i taralli del grande Raffaele Pignataro, con tanto di foto passo passo: perfetto! Ho fatto un bel copia-incolla, ho risistemato il testo per la mini dispensa che stavo preparando per le mie allieve e al momento della realizzazione non mi sono posta alcun dubbio: le ricette di Raffaele sono perfette. Mi ha stupita un po' la quantità massiccia di pepe - ben 4 cucchiai su mezzo kg di farina -  ma in fondo non è un caso se il pepe è parte del nome della ricetta, e poi a me comunque piace molto, tanto che ne mastico i grani da soli perché ne amo l'aroma.

Altra stranezza: gli impasti di entrambe le ragazze hanno richiesto un'aggiunta di acqua. Strano ma non troppo, visto che sappiamo tutti che la farina può assorbire più o meno acqua secondo le condizioni meteorologiche. Impasto e formatura sono comunque andate benissimo, idem la lievitazione. Una volta in forno, i taralli hanno cominciato a sprigionare un intenso aroma di pepe: musica per il mio olfatto! 

Poi li abbiamo estratti dal forno e fatti intiepidire, e mentre chiacchieravo con la mia amica le ragazze ne hanno preso uno, se lo sono diviso e lo hanno assaggiato. Un picosecondo dopo entrambe si sono letteralmente buttate sul bicchiere e hanno cominciato a bere grandi sorsate di acqua. Io mi sono voltata  e credo che la mia espressione abbia ricordato un po' quella di Morgan l'anno scorso a San Remo, dopo l'uscita di Bugo. 


Anche la mia amica ha assaggiato un tarallo e la reazione è stata identica: buttarsi verso l'acqua come se la sua vita dipendesse da quello. A quel punto ho assaggiato un tarallo anch'io: pepatino, sì, ma piccante in modo piacevole mi sono detta, mentre davo un altro morso. Ovviamente mi sono sentita mortificata per le mie ospiti, ma che cosa potevo fare, se non ripromettermi di dimezzare le dosi di pepe? 

A fine giornata ho equamente diviso i pani preparati tra le due ragazze e, dopo che l'amica e la figlia sono andate via ho riaccompagnato la Pulcetta a casa. Mentre chiacchieravo con mia sorella è arrivato mio cognato, che ha tuffato la mano nel sacchetto e ha addentato un tarallo. "Accidenti se picchia!" ha esclamato, al che mia sorella ha voluto assaggiare e si è catapultata in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Rientrata a casa sono andata sul blog di Raffaele a cercare la ricetta, e lì i dubbi si sono dissolti: il pepe era solo 7 grammi, pari a 3 o 4 cucchiaini; lo strutto era di più e la farina grossolana di mandorle era di meno. Insomma, la mia fonte secondaria si è rivelata totalmente inaffidabile, avendo triplicato le quantità di pepe, aumentato gli ingredienti secchi e diminuito in proporzione lo strutto, che aiuta a contenere i liquidi. Mentre davo dell'impunita a costei, mi sono ripromessa di rifare i taralli al più presto (a me comunque erano piaciuti da morire), ma questa volta sono andata direttamente alla fonte. Manco a dirlo, ho imparato la lezione... e classificato inaffidabile la blogger imprecisa. 😆 


lunedì 28 settembre 2020

Melanzanine ripiene alla genovese della suocera... di Alessandra!


Ci sono ricette che ti rimangono costantemente nel retro-cranio; stanno lì e non si muovono, perché vorresti tanto prepararle, ma attendi di trovare la materia prima perché vuoi solo quella, e non una possibile sostituzione. 

E' il caso di questa ricetta, pubblicata 10 anni fa dalla meravigliosa Alessandra nel suo defunto ex blog, per la quale attendevo di trovare loro, le baby melanzane. Perché è vero che avrei potuto realizzarla ugualmente con delle melanzane normali, ma vuoi mettere la soddisfazione di usare proprio quelle piccine? A questa spasmodica (e fino ad oggi inutile) ricerca, si univa un senso di ingiustizia: nel post originale, Alessandra diceva che si trattava di ricette storiche di famiglia, segno evidente che le baby melanzane si trovano a Genova da tempo immemorabile; perché mai io non riuscivo a trovarle a Milano?

Dopo 10 anni il retropensiero si era oramai sopito, ma quando andando dal fruttivendolo ho visto le melanzanine mi sono illuminata e la ricetta mi è tornata subito alla mente, o meglio mi è tornato in mente il fatto che Alessandra l'aveva pubblicata. A ciò si aggiunga che la mia pianta di maggiorana è divenuta ormai un cespuglio da tanto è rigogliosa, et voilà: in men che non si dica, le melanzanine sono finite nel mio carrello della spesa.

Nel suo post, Alessandra metteva a confronto le ricette di sua mamma e di sua suocera; io oggi ho realizzato quella della Signora Carla, perché volevo una versione totalmente vegetariana; la ricetta della Signora Anna però, prima o poi va provata: la gustosa aggiunta di mortadella mi attira parecchio. 

Alessandra giura che queste melanzanine sono peggio delle ciliegie: una tira l'altra, fino a terminarle tutte. Io non posso che confermarlo. 😋

venerdì 17 luglio 2020

Pesto genovese classico e variante eretica


L'erba aromatica che preferisco in assoluto è senz'altro il basilico, con il suo profumo penetrante che sa di primavera. Lo adoro in tutte le salse, 😏è il caso di dirlo: ne ho estratto la clorofilla e l'essenza per un olio aromatico, l'ho usato nei dolci (anche qui e qui), nelle zuppe, nei risottinella marmellata, nella gelatina, nel favoloso pesto al cioccolato e basilico di Paul A. Young e in un milione di altre preparazioni. E naturalmente, in primavera-estate preparo molto spesso lui, il pesto genovese, un condimento superbo che fa di un semplice piatto di pasta, un piatto da re. 

Mi sono accorta solo adesso di non averne mai pubblicato la ricetta: rimedio subito, perché è davvero un peccato non averla sul blog. La ricetta è quella di un caro amico genovese DOC, Federico Olimpo del blog Il Preboggion: la seguo da anni con grande soddisfazione. Fedo ha inserito le dosi per 1 kg di pesto mentre io le ho ridotte a 100 g, perché faccio fatica a procurarmi 350 g di foglie di basilico. 

Gli accorgimenti per fare il pesto sono pochi, ma fondamentali. Fedo sottolinea che il basilico è importantissimo: dovrebbe essere quello di Pra, raccolto quando le foglie sono piccole, tenere e non più di sei. La pianta poi va estirpata, radici comprese, altrimenti le foglie che ricresceranno saranno dure e dal sapore di menta. Io naturalmente li disattendo tutti, molto puntualmente: uso tutte le foglie di basilico che mi capitano sotto mano, solitamente quelle più grandi, e pazienza se sanno di menta. Mi guardo bene dall'estirpare le piante, che coltivo in vaso con grande cura, e quando in autunno mi muoiono mi sento in lutto: significa che la bella stagione è terminata e che mi attendono i lunghi mesi invernali, bui e freddi. Il pesto teme anche il calore: non solo non va mai cotto, ma anche nel prepararlo occorre fare molta attenzione a non surriscaldarlo. Per questo è preferibile prepararlo nel mortaio (ci vuole un quarto d'ora circa), ma se si ha fretta o non si dispone di un buon mortaio, va bene anche il frullatore a immersione. Meglio in questo caso tenere la parte con le lame in frigorifero fino al momento di fare il pesto, e frullare il più brevemente possibile, per evitare che si surriscaldi e si ossidi. Last but not least, mai allungare il pesto genovese con formaggi molli come la ricotta: è una salsa dal gusto delicato, specialmente se non si esagera con l'aglio, perché diluirne il sapore?   

Il pesto genovese è una religione insomma, ma come tutte le religioni ha i suoi eretici e io, ahimè, sono tra questi: talebana con le preparazioni siciliane, mi prendo delle licenze con quelle degli altri e il pesto genovese non fa eccezione. A dire il vero la mia variante eretica (che preparo solo ogni tanto) rimane entro i confini dei profumi tradizionali liguri: agli ingredienti classici aggiungo le foglie di un rametto di maggiorana, che regala al pesto una nota aromatica particolare a mio avviso deliziosa. Tutto qui, ma se avete voglia di provarla sappiatemi dire. A casa mia piace veramente tanto. 😇

venerdì 3 aprile 2020

Capricciosa di verdure in agrodolce


Mia sorella è sempre stata piuttosto schizzinosa a tavola e non mangiava volentieri le verdure. Non sto parlando dell'età infantile, quando è difficile far mangiare le verdure a quasi tutti i bambini, ma degli anni successivi: anche da adolescente e da giovane donna non amava le verdure, che ha riscoperto solo dopo essere diventata mamma ed essersi piegata alla necessità di far mangiare i suoi bambini in modo sano ed equilibrato. Mia madre si è quindi trovata a dover inventare mille modi per far mangiare verdure alla sua piccola, una sfida non da poco che perdeva quasi sempre. 

Un giorno  si è messa a buttare in pentola un po' di verdure - non dico a caso, ma quasi - per cercare di fare un contorno che potesse risultare gradito anche a lei. Quando lo ha assaggiato, mia sorella ha chiesto: Come si chiama? Dopo un attimo di esitazione, mia madre ha risposto: Capricciosa di verdure. L'ironia deve essere sfuggita alla diretta interessata, che se ne è servita ancora, commentando: Buonissima.

Mia madre ha la cucina sulla punta delle dita: laddove io ho bisogno di dosi precise e di un procedimento ben strutturato, lei cucina a sentimento e mette in tavola dei piatti da leccarsi le dita. Quando le chiedo una ricetta, me la dà elencandomi solo gli ingredienti, e le dosi sono sempre "un pochino", "una manciata", "qualche", come facevano le donne di una volta, che cucinavano a occhio e riuscivano sempre.

Avevo fatto una bella spesa di verdure con l'idea di non uscire più per 15 giorni, e davanti a tanta abbondanza mi è venuto in mente che avrei potuto preparare una Capricciosa. Sono andata a recuperare le note sul cellulare, dove avevo annotato il procedimento un paio di anni fa, quando mia madre la stava preparando davanti a me, e ci ho trovato le tipiche indicazioni generiche: soffriggere la cipolla, aggiungere prima questa e poi quella verdura...
Nella mia spesa monumentale non erano state comprese le zucchine, quindi non le trovate in foto, ma ci vanno e ci stanno bene. 

Posso solo dirvi di provare a farla, questa Capricciosa di verdure: ricorda un po' la caponata trapanese ma è più leggera, perché le verdure non vengono fritte. Ed è di una bontà incredibile, parola di Apple Pie!

lunedì 20 gennaio 2020

Gnudi di ricotta e broccoletto di Custoza


Un anno fa mi trovavo nel veronese per lo splendido Raduno dell'MTChallenge, e tra le numerose attività, la meravigliosa Cinzia ha organizzato una visita al Presidio Slow Food del Broccoletto di Custoza e un pranzo in un vicino ristorante, tutto a base di questo delizioso broccoletto, dall'antipasto al dolce. Ovviamente tutte noi ci siamo precipitate a comprare dei bei mazzi di questa deliziosa brassicacea, e una volta tornate a casa ci siamo cimentate in una serie di ricette per gustarlo al meglio.
Ne è risultata una deliziosa raccolta pubblicata sul sito del Calendario del cibo italiano; questo è stato il mio contributo. In mancanza del broccoletto di Custoza, si possono usare le cime di rapa.

Prima di passare alla ricetta, vi dò due notizie sul broccoletto di Custoza, prese dal sito di Slow Food:

Il broccoletto di Custoza non sviluppa il panetto fiorale tipico dei broccoli, ma un piccolo cuore centrale di foglie e, per queste sue caratteristiche, derivanti dal patrimonio genetico ma anche dal tipo di terreno e dalla tecnica di coltivazione, si distingue nettamente da altri broccoli.
La semina si effettua a giugno in semenzaio e in agosto si procede al trapianto in pieno campo. Da dicembre ai primi giorni di febbraio si raccoglie: è importantissimo che prima della raccolta la pianta attraversi un periodo freddo, per diventare più dolce e più tenera.
Al momento della raccolta, che si effettua a mano, si eliminano solo le foglie basali grossolane o leggermente danneggiate e con 5 cespi ( come prevede la tradizione locale) si confezionano dei mazzi pronti per la commercializzazione.
Si consuma tutto il cespo compresa la costola, che è tenera e non filamentosa. Ha un gusto inconfondibile, molto delicato e leggermente dolce.

lunedì 2 dicembre 2019

Serviettenknoedel (canederlo nel canovaccio) con brasato di manzo


Con l'MTChallenge abbiamo scritto ben 6 libri, uno dei quali però non è stato da noi pubblicizzato per protesta nei confronti della casa editrice, perché lo ha pubblicato senza concordare con noi titolo e copertina (e infatti è l'unico a non avere una copertina e un titolo spiritosi).
Le vendite sono andate a gonfie vele, come è accaduto per tutti i nostri libri, ma i contenuti sono passati - un po' ingiustamente - nel silenzio. 
Sto parlando di Facciamo gli gnocchi, l'ennesimo capolavoro di Alessandra Gennaro e di Mai Esteve, rispettivamente Autrice/coordinatrice ed Art Director, che affianca alla ricetta degli gnocchi tradizionali e di tanti gustosi condimenti, una serie di ricette di gnocchi dal mondo, tutti molto particolari e accomunati dalla bontà delle ricette.


Il mio contributo è stato quello di uno gnocco austriaco, il canederlo cotto nel canovaccio, che si accompagna a brasati o spezzatini, dovunque ci sia un intingolo da raccogliere.

Per il brasato, qui ho scelto di realizzare la ricetta di Glynn Purnell, Chef stellato britannico tra i miei preferiti, che personalmente adoro per il suo approccio scanzonato e irriverente alla cucina, unito a ricette scritte in modo impeccabile. 

lunedì 25 novembre 2019

Minestra astigiana di riso e porri


Di questa ricetta mi sono innamorata fin da quando la feci per Starbooks nel 2014, e da allora è rimasta una delle mie ricette-coccola, a cui ricorro nei mesi freddi: come dissi allora, è un piatto umile, semplice, gustoso e corroborante, perfetto per le fredde serate invernali. 
Come tutte le ricette di tradizione, benché siano indicati dei formaggi specifici, si possono adoperare quelli che si vuole, o meglio quelli che si hanno in frigo.

L'autrice del libro da cui l'ho presa, l'indimenticabile Anna Gosetti Della Salda, ci fa sapere che l'origine del piatto risale al Medioevo: fin da quell'epoca la periferia di Asti era cinta da orti coltivati prevalentemente ad aglio e porri. 

E' una ricetta molto facile che richiede pochi ingredienti; se non ne avete qualcuno (ad esempio il lardo), non importa: limitatevi al burro, ma non dimenticate l'alloro o la grattatina di noce moscata: regala un aroma veramente delizioso.

Un ultimo consiglio prima di passare alla ricetta: se avete un tegame di coccio, utilizzatelo per preparare questa minestra: il calore vi si diffonde più lentamente ma rimane costante più a lungo. Proteggetelo sempre con un frangifiamma e, se non lo avete utilizzato negli ultimi 6 mesi, tenetelo a bagno in acqua fredda per una notte, per reidratarlo. Se il coccio non l'avete preferite una pentola in alluminio (o rame, se l'avete!), oppure una di acciaio inox con doppio fondo. In tal caso usate il fornello piccolo con la fiamma al minimo per preparare il fondo e aggiungetevi 100 ml di acqua. Rimestate spesso il fondo, qualunque pentola adoperiate, e sorvegliatelo in quei primi 20 minuti, per evitare che si bruciacchi. 

lunedì 18 novembre 2019

Torta pinolata ligure


La scorsa estate una coppia di amici, di ritorno da una vacanza in Liguria, ha portato a mia mamma una torta pinolata presa in una pasticceria del posto. Non la conoscevamo, ma l'abbiamo aperta durante il pranzo della domenica e siamo rimaste stregate dal suo sapore. Da qui a decidere di replicarla il passo è stato breve: ho consultato la rete in lungo e in largo, e ho scoperto che di questo dolce esistono due versioni: una più semplice, una normale torta con dentro pinoli e mandorle, e una "da pasticceria" - quella che era stata regalata a noi - composta da una base di pasta frolla ricoperta con un velo di confettura di albicocche, e una morbida farcia a base di pinoli e mandorle. 
Ho subito optato per la seconda versione, proprio perché avevo un termine di paragone, e tra le tante ricette trovate in rete ho selezionato quella di Emanuele di Cravatte ai fornelli, che mi ha attirata di più. L'ho replicata diverse volte per tutta l'estate, diminuendo via via lo zucchero che per i miei gusti era troppo, fino a trovare le dosi giuste per il mio palato.

Mi sono innamorata di questa torta perché esprime appieno lo spirito della Terra che le ha dato i natali: tutti i Liguri che conosco sono persone schive, che non amano l'ostentazione e preferiscono mantenere un profilo basso; al contempo sono persone ricchissime di umanità, di cultura, di storia, di sapere e di amore per la loro terra. Ecco, questo è un dolce prezioso (la notevole quantità di pinoli lo rende piuttosto costoso), ma senza ostentazione. L'aspetto è modesto e quasi rustico, ma il sapore è  semplicemente divino. 

Se ho vinto la mia non-voglia di fotografare per ritrarlo, è perché da più parti, dopo averlo assaggiato, mi è stata chiesta la ricetta. Ecco dunque la mia versione della

giovedì 25 luglio 2019

Piadina ai fiori di zucca e crema di ricotta dura alle erbe


Il caldo non dà tregua come è giusto che sia, visto che siamo in pieno luglio; non me ne lamento di certo, tanto attendo l'estate durante i freddi inverni milanesi, e pazienza se la voglia di cucinare scappa un po': ci sono tantissimi piatti gustosi che richiedono poco sforzo in cucina e danno grande soddisfazione, ed è a questi che mi rivolgo in questa stagione.

Per quanto io ami molto il fai da te, non disdegno certo i prodotti già pronti, purché siano veramente di qualità. E' per questo che ho messo nel carrello la piadina al lievito madre di Frescopiada, un'azienda artigianale che lavora le sue piade con sapienza e amore e le precuoce singolarmente, sicché a noi rimane solo da terminare la cottura sulla piastra e farcirle.
Ho costruito intorno alla mia piada una farcia fresca, leggera e saporita: fiori di zucca, zucchine e ricotta stagionata li ho acquistati; le erbe aromatiche prosperano sul mio balcone e il mio armadietto delle spezie è ben fornito. All'avvicinarsi dell'ora di pranzo mi sono messa all'opera e in un quarto d'ora avevo già la mia piadina sul piatto!

giovedì 11 luglio 2019

Piadina alla Norma per Vamos a la piada!


Metti una piadina artigianale preparata con lievito naturale, farine macinate a pietra e ingredienti selezionati, cotta individualmente, quindi raffreddata naturalmente tra i rulli prima di essere confezionata e messa in vendita.
Metti una piadina che quando apri la confezione ti conquista con il suo avvolgente profumo di buono che nulla ha a che vedere con i troppi prodotti industriali venduti sotto questo nome, e con la sua straordinaria morbidezza.
Metti una rosa di piadine, da quella tradizionale a quella ai grani antichi, tutte deliziosamente profumate, la cui artigianalità è garantita da Fresco Piada.
Metti un po' di estro creativo e la voglia di ritrovare i sapori della Terra dei tuoi Avi - che più distante dalla Romagna non potrebbe essere - senza troppi problemi, perché la piadina è accogliente e generosa come la Terra da cui è nata, ed è pronta a esaltare tutti i ripieni.
Metti poi che il Calendario del Cibo Italiano organizza un flash mob sulla piadina in collaborazione con Fresco Piada... Tu che fai?
Ti butti a corpo morto nella mischia, che domande, e al grido di VAMOS A LA PIADA! presenti la tua siculo-romagnola

domenica 25 novembre 2018

Pasta cu li vrocculi arriminati per MTC S-Cool


Eccomi alla seconda puntata della lezione sulla mantecatura della pasta di MTC S-Cool: se il primo piatto da fare obbligatoriamente era la Cacio e Pepe, il secondo piatto di pasta contemplava un condimento a nostra scelta: unico obbligo, la corretta mantecatura della pasta.
E' da quando l'ho sperimentata che mi chiedo come abbia potuto farne a meno prima: la mantecatura fa davvero la differenza in un piatto di pasta! E' vero che si sporca una padella in più, ma ne vale assolutamente la pena: la cottura della pasta è tenuta sotto stretto controllo, e il piatto risulta molto più saporito. Una situazione win-win, a dirla con il linguaggio aziendale. 😃

La pasta cu li vrocculi arriminati (al cavolfiore mantecato) è un primo piatto tradizionale della cucina Siciliana, molto gustoso e perfetto per questa stagione. Reca tracce dell'opulenza un po' barocca della nostra cucina con lo zafferano i pinoli e le uvette, ed è uno dei miei comfort food invernali.
L'ho già proposta in versione lasagna per un MTChallenge ormai lontano, e oggi in occasione della scuola di cucina la propongo nella sua veste tradizionale ma con la mantecatura, che non avevo mai effettuato prima.

Purtroppo mi si è scaricata la batteria della macchina fotografica, così le ultime due foto le ho dovute fare con il cellulare. Ma è il risultato che conta, no? 😅

lunedì 19 novembre 2018

Spaghetti Cacio e Pepe per MTC S-Cool


"Non si finisce mai di imparare" (detto popolare)
"Gli uomini raramente imparano ciò che credono già di sapere" (Barbara Ward)

A settembre di quest'anno è nata MTC S-Cool, una scuola di cucina on line con tutti i crismi (e certamente con le pagelle e le valutazioni) a cui ho avuto l'onore di essere ammessa e che frequento in piccola parte come insegnante, ma in gran parte come allieva.
Ho saltato la prima lezione, sul cestino del pane, per mancanza cronica di tempo. Dovrò recuperare, lo so, perché la prova finale consisterà nel realizzare un intero menù mettendo a frutto le lezioni di tutto l'anno scolastico, e sapere abbinare un cestino del pane al menù è la prima cosa. 
Intanto però sono passata alla lezione successiva, quella sulla mantecatura della pasta


A prima vista sembra quasi una presa in giro: sono Italiana, nata e cresciuta sul patrio suolo; mia madre, le mie zie, le mie nonne, mia sorella, le mie cugine sono tutte abili cuoche. La pasta è sempre stata la regina dei nostri pasti: facile da cucinare, versatile, veloce... Quando andavo all'estero mi chiedevano sempre di preparare gli spaghetti (formato che personalmente detesto, ma tant'è), insomma che ci vuole a preparare un piatto di pasta? 
Eppure anche la pasta ha i suoi trucchi e segreti: ne abbiamo scritto in lungo e in largo su MTChallenge (qui un post che rimanda a tutti quelli che erano stati scritti negli anni) ma non basta scrivere e leggere solo una volta: occorre studiare, studiare e studiare. 

Il fulcro della lezione è in questo post magistrale con video della nostra insegnante del mese, Greta: lei in realtà ha scritto per noi un'intera dispensa sulla cottura e mantecatura della pasta, ma i concetti fondamentali si trovano nel summenzionato post, che ho letto e riletto non so quante volte prima di tornare a cimentarmi su quella che è in assoluto la mia pasta preferita: gli spaghetti Cacio e Pepe (questo condimento è uno dei pochissimi che giustificano ai miei occhi l'esistenza di questo formato di pasta 😂).

Perché la Cacio e Pepe per me è più di una ricetta: è una religione.
Ogni volta che vado a Roma ordino sempre e solo quella quando mangio fuori, facendone delle vere  e proprie scorpacciate. La prendo anche altrove, quando mi sembra che il ristorante valga il tentativo, anche se non sempre ci azzecco: questa primavera uscendo a cena con il mio nuovo team di lavoro mi sono lasciata tentare e sono rimasta delusissima da una cacio e pepe (il minuscolo non è casuale) legata con il tuorlo 😒 assolutamente pessima e incredibilmente pesante.

Proprio per questo sono stata felice che la ricetta-madre con cui dovevamo confrontarci a scuola fosse proprio lei, la regina delle paste espresse, come l'ha giustamente definita Greta. E benché non abbia mai sporcato così tante pentole per preparare un piatto di pasta in vita mia, il risultato è stato così strepitoso da convincermi che vale la pena affrontare il lavello pieno, se la ricompensa è una pasta di questo calibro. 
Non solo: mentre eseguivo scrupolosamente tutti i passaggi indicati da Greta mi dicevo che finalmente, alla tenera età di 54 anni, ho imparato a cucinare un buon piatto di pasta. Perché davvero, non si finisce mai di imparare.

mercoledì 31 gennaio 2018

Stufato alla Sangiovannese per il Calendario del Cibo Italiano


Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra la Giornata Nazionale dello Stufato, e io partecipo riproponendo una ricetta che è diventata un classico a casa mia, in questo periodo: lo stufato del Castel San Giovanni, o alla Sangiovannese.

Poco conosciuto al di fuori dell’area geografica in cui è nato, lo stufato alla Sangiovannese è un piatto antico e ricco di storia. La ricetta è oggi regolata da un disciplinare e tutelata da un marchio, nonché protagonista di un apposito Palio che si svolge in gennaio, la ricetta si tramanda di padre in figlio da secoli: tradizionalmente infatti sono gli uomini a prepararlo.

Le origini del piatto sono incerte: alcuni le fanno risalire alla grazia ottenuto da Monna Tancia nel 1478: a 75 anni aveva perso per la peste il figlio e la nuora e non sapeva come nutrire il nipotino Lorenzo di 3 mesi. Supplicò la Madonna raffigurata nell’effigie posta all’esterno della Porta del castello, detta Madonna di San Lorenzo, ed ebbe la grazia: dai suoi seni avvizziti sgorgò il latte, che le consentì di nutrire il nipotino. In seguito al miracolo, in città accorsero numerosi pellegrini (pare che Lorenzo De' Medici fosse tra essi): come sfamarli? In paese fu marinata a secco con spezie e aromi una grande quantità di carne ormai eccessivamente frollata, dando vita al piatto.

Probabilmente però il contributo fondamentale alla ricetta fu dato, nella seconda metà dell’Ottocento, dall’arrivo in paese di operai provenienti dall’Europa centrale, impiegati alla Ferriera: costoro avrebbero fatto conoscere la ricetta del gulasch, adattandola al gusto locale e usando abbondanti spezie per mascherarne l’eccessiva frollatura.

Quali che siano le origini della ricetta, una cosa è certa: la composizione del drogo, la miscela di spezie usata per prepararlo, è segreta. Con tutta probabilità ogni famiglia ha la sua; se capitate a San Giovanni Valdarno, magari in occasione del Palio dello Stufato che si tiene tutt’oggi nella Basilica di Santa Maria delle Grazie (che sorge proprio dove si trovava l'immagine miracolosa), potete acquistarla in una delle numerose drogherie della città.

Cercando in rete ho trovato la ricetta scritta in rima, a cura degli Uffizi dell’Industria e del Vicariato di San Giovanni Valdarno:


STUFATO DEL CASTEL SAN GIOVANNI

Nello tempo ch’è detto carnevale
alla Basilica, nelle grandi sale,
si riunivano in tempi ormai lontani
per far doni alla chiesa, i parrocchiani.
Racconta una leggenda che una donna,
per onorare meglio la Madonna
fece uno piatto forte e assai drogato
che battezzò col nome di Stufato.
Questa ricetta tanto decantata
da padre in figlio è stata tramandata
e per la gioia di ogni buon palato,
è giunta a noi in original formato.
Se questo piatto buono tu vuoi fare
questi son gli ingredienti da adoprare:
muscolo libbre tre, tagliato a modo
e di osso e zampa a parte, fai del brodo.
Tanto prezzemolo e di cipolle una
fai un bel battuto con la mezzaluna,
vino, olio di oliva, un’impepata,
spezie, garofano e alfin noce moscata.
Indi di coccio un tegam devi pigliare,
ci versi l’olio ma senza esagerare;
perché riesca bene, se ti preme,
metti la carne col battuto insieme.
Allor che tutto principia a rosolare
non ti stancare mai di razzolare,
quando il colore ha preso marroncino,
metti le droghe e un bel bicchier di vino.
Appena il vino s’è tutto consumato
aggiungi il pomodoro concentrato
a questo punto puoi abbassare il fuoco:
cuoci aggiungendo il brodo, poco a poco.
Questo piatto che viene da lontano
saprà ridarti quel rapporto umano
e far capire anche al più somaro
che il tempo è vita e che non è denaro.


Io l'ho reinterpretata così:

domenica 21 gennaio 2018

LASAGNE AL CAVOLFIORE CON BESCIAMELLA ALLA BOTTARGA


Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra la Giornata Nazionale delle Crucifere (o Brassicacee), verdure che mi piacciono moltissimo e che cucino molto spesso, praticamente in tutte le salse.
Il nome Crucifere deriva dalle infiorescenze, che presentano quattro petali disposti a croce. Fanno parte di quest'ampia famiglia il crescione, i ravanelli, la rucola, la senape e tutti i cavoli, che sono i più ricchi di proprietà nutritive. Tutti i cavoli infatti sono particolarmente ricchi di micronutrienti che aiutano a contrastare l’azione dannosa dei radicali liberi, e contengono in quantità elevate sali minerali, vitamina C, potassio, vitamina K e fibre. Sono utili per rafforzare il sistema immunitario e prevenire alcuni tipi di tumore, e hanno forti proprietà anti infiammatorie. Anche chi è affetto da patologie della tiroide potrà trarre giovamento da una dieta che preveda abbondanti quantità di cavolo,  mentre potassio, vitamina K e lignami (di cui i broccoli sono particolarmente ricchi) stimolano l'attività cerebrale. (Fonte: ideegreen.it)

Oltre a tutte queste proprietà benefiche, le crucifere sono davvero molto buone e se l'odore sulfureo che emanano in cottura risulta sgradevole, il loro sapore compensa ampiamente questo svantaggio. Io le consumo in abbondanza specialmente in inverno, quando se ne trovano diverse varietà.

La ricetta che vi propongo oggi è una lasagna realizzata con il cavolfiore. In pratica ho interpretato la sicilianissima pasta chi vrocculi arriminati in versione lasagna: le foglie esterne del cavolfiore sono state usate nella sfoglia, mentre cimette e torsoli compongono il tradizionale sugo, reso sontuoso dall'aggiunta di pinoli, uvetta e zafferano; la besciamella insaporita con la bottarga contrasta la dolcezza del cavolfiore e la muddrica atturrata (pangrattato tostato) infine, prende il posto del formaggio grattugiato e dà croccantezza alla finitura.

Naturalmente potete preparare questa lasagna anche a partire da lasagne normali, magari comprate nel reparto freschi del supermercato: saranno ugualmente buone e molto più veloci da fare.

lunedì 16 ottobre 2017

Mafalda siciliana


Oggi è la giornata mondiale del pane, e anche la Community del Calendario del cibo italiano si unisce alla celebrazione di un alimento che è la base dell'alimentazione umana a tutte le latitudini.
Volevo partecipare alle celebrazioni con un pane della mia meravigliosa Terra, la Sicilia, e la mia scelta si è subito focalizzata su un pane tipico: la mafalda.

La Sicilia nel corso della sua storia ha sviluppato un ricco patrimonio agro-alimentare e tra i prodotti di indiscusso valore economico, storico e culturale, il pane gioca un ruolo di primario interesse.
Il pane in Sicilia è tutto: cultura, storia, tradizioni, fatica, ma anche unico e inimitabile sapore. Già alla fine del Medioevo, si è imposto sull'Isola il pane di grano duro. Nella cultura contadina della Sicilia preindustriale, il vero uomo era colui che mangiava pane travagghiatu, ottenuto, cioè, con il sudore della propria fronte. La panificazione casalinga era compito tipicamente femminile, che si svolgeva di solito al sabato.Uno dei pani tradizionali siciliani più diffusi è il pane casereccio, realizzato con semola di grano duro e caratterizzato da un’alveolatura fitta e minuta. La sua preparazione richiede una lavorazione specifica, con un impasto a bassa percentuale di acqua rispetto alle preparazioni standard, che gli garantisce un'elevata conservabilità, essendo meno attaccabile dalle muffe. Il pane casereccio siciliano è anche detto scaniatu, poiché viene lavorato energicamente, utilizzando attrezzi e metodiche tradizionali.

Tra le forme di pane più conosciute e diffuse in Sicilia spicca certamente la Mafalda, un pane  a impasto diretto dalla crosta dorata, dal delicato e caratteristico sapore di semi di sesamo, foggiato in diverse forme, tra le quali gli “occhi di Santa Lucia” e la “Corona”, ottenuta tagliando in due punti il lato superiore di un panetto a forma di mezzaluna – non superiore ai 3 etti – che con la lievitazione e la cottura si apre a ventaglio nella parte incisa, facendola assomigliare, appunto, a una corona.

Le sue origini sono incerte: probabilmente è un pane di origine araba, dato che l'importazione dei semi di sesamo - la giuggiulena , come sono chiamati nel dialetto locale - risale all'epoca della loro dominazione sull'Isola. Giuggiulena è anche il modo in cui vengono chiamate le rocce di arenaria locale, come quelle che formano la catena dei monti Iblei, per la loro facilità nello sfaldarsi, riducendosi in piccoli ciottoli, quasi come semi di sesamo.
Il nome Mafalda invece risale ai primi del Novecento, epoca in cui questo pane venne dedicato da un panificatore catanese a Mafalda di Savoia.
Quali che siano le sue origini, la Mafalda è un pane particolarmente profumato, caratterizzato da due ingredienti fondamentali: la semola rimacinata di grano duro e semi di sesamo.

Fonti:
Piergiorgio Giorilli in Dolcesalato
Siciliafan.it

La ricetta che segue è una mia rielaborazione della ricetta di famiglia: ho scelto il metodo dell'impasto indiretto, preparando una biga poolish e utilizzando così pochissimo lievito di birra, e ho utilizzato una farina di Timilìa (o Tumminìa), un grano antico tipico della zona di Castelvetrano (TP).